MONTE NAVEGNA domenica 6 ottobre 2013
L’appuntamento è alle 7 davanti ai locali della sede e ci sono stati più contatti telefonici perché le allarmistiche previsioni meteo sembrano sconsigliare di partire. Anche gli amici di Latina, con cui condividevamo questa escursione, si sono ritirati annullando l’evento proprio per le condizioni del tempo.
All’appuntamento siamo in sette e oltre a me ci sono Luigi, Goffredo, Gianluca, Riccardo, Angelo, Paola mentre Carla, Alessandro e Rocky ci aspettano sulla Salaria all’altezza del semaforo di Passo Corese.
Nonostante le fosche previsioni, partiamo con un cielo poco nuvoloso verso Ascrea, sul lago del Turano, da dove inizia la nostra escursione.
Parcheggiamo in cima al paese e ci prepariamo mentre in cielo ci sono poche nuvole che sembrano premiare il nostro ostinato desiderio di andare in montagna.
Il percorso previsto in precedenza è stato modificato dopo la parziale ricognizione che ho fatto domenica scorsa, Infatti dovevamo percorrere la valle dell’Obito e poi risalire verso Prato Ventro e da lì dirigersi verso fonte le Forche e poi andare in vetta al Navegna, scendendo al ritorno per la Mirandella. La valle dell’Obito è però chiusa da un’ordinanza del comune per il rischio di caduta sassi dalla parete rocciosa e poi il sentiero che sale da Prato Ventro è diventato impraticabile per i rovi e gli arbusti che hanno invaso il terreno e quindi abbiamo optato per salire e scendere dalla Mirandella.
Il tratto iniziale è abbastanza faticoso perché strappa subito in salita, arrancando sul costone roccioso subito sopra il paese, e la pioggia dei giorni precedenti l’ha reso abbastanza scivoloso e i bastoncini, per chi li ha, sono un attimo aiuto.
Si continua a salire anche se con meno pendenza, raggiungendo lo sperone roccioso dove ci sono i ruderi di Mirandella, risalenti all’XI secolo, i cui abitanti fondarono in seguito Ascrea. Rimane ancora qualche muro di pietra. Siamo a quota 1010 m e ripartiamo perdendo un po’ di tempo per ritrovare i segni del sentiero. Questo non è ben segnato. In alcuni punti ritroviamo segni di vernice rossa e in altri è riportata la segnaletica del CAI con i segnavia bianchi e rossi che però non sono conformi né per le dimensioni né per come sono orientati. Le tabelle che indicano le località e le relative distanze temporali sono distribuite lungo il percorso.
Il problema è che la montagna è frequentata anche dal bestiame che traccia dei sentieri che si confondono con quello che porta alla vetta.
Attraversiamo un boschetto e ritroviamo i segnali che, con una strada comoda e quasi pianeggiante, che ci fa riprendere il fiato e ci porta alla fonte delle Forche a quota 1120m. Sopra la fonte, dove ci sono le due case dei pastori, vediamo altre persone che come noi salgono al Navegna. Sono quattro ragazzi ucraini, due uomini e due donne, che ci raggiungono poco dopo e ci precedono di un centinaio di metri alla vetta. Hanno pernottato alla casa dei pastori e potrebbe essere un’idea anche per i nostri progetti futuri.
Continuiamo a salire trasversalmente e si apre una veduta sul lago del Turano con in primo piano sul promontorio che invade il bacino e il paese di Castel di Tora e su un cielo grigio e basso che i rilievi che ci separano, trattengono. La vetta è ormai imminente, intuibile dietro la salita che si staglia contro le nuvole.
Mentre saliamo, attraversando un tratto boscoso ritroviamo un paio di malandati anfibi messi a lato del sentiero, quasi esposti come un’opera d’arte, che lasciano un senso inquietante insieme alla domanda di come sia tornato indietro il loro proprietario. Scalzo?
Una croce segna i 1508m della cima. Ci facciamo l’usuale foto di gruppo e ci riposiamo e mangiamo godendoci il panorama surreale mentre veniamo attraversati da una nebbia che, per chi guarda la montagna dalla valle, è una nuvola, in compagnia di un branco di cavalli al pascolo.
Siamo arrivati poco dopo mezzogiorno e mezzo e alle 13,15 ci rimediamo lo zaino in spalla, mentre le nuvole che prima correvano veloci, ora si addensano oscurando il cielo. Qualche goccia di pioggia cade raramente ma generando un po’ di ansia che fa accelerare il passo che rallenta solo per fermarsi a mangiare qualche mora tra le tante sui rovi lungo il sentiero e poco prima delle quattro siamo di nuovo alle auto.
Certo ci abbiamo messo di più dei tempi standard descritti per questo percorso ma ci siamo goduti la camminata con la fortuna sfacciata di non esserci bagnati se non di sudore. In più rimane quel senso di armonia, di ciò che scorre senza intoppo, perché il gruppo è stato sempre insieme, dall’inizio alla fine, e l’unico che andava per conto suo è stato Rocky con il suo festoso andare avanti e indietro.
Omar
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